Calcolo del risarcimento del danno da Invalidità Permanente in caso di morte del danneggiato per cause estranee al sinistro.
La morte del danneggiato per cause indipendenti dal sinistro incide sulla quantificazione del risarcimento da invalidità permanente spettante agli eredi e comporta una rideterminazione della stessa quantificabile mediante la proporzione tra l’esistenza media della persona (desumibile dalle tabelle di liquidazione del danno in uso presso i Tribunali italiani) ed il lasso temporale trascorso in vita dal soggetto leso a seguito dell’evento lesivo.
In tal senso – ed a conferma di quanto appena affermato – appare certamente illuminante la giurisprudenza della Suprema Corte applicata in vicende analoghe a quella in esame.
A tal proposito, va premesso innanzitutto che se il leso muore prima che gli sia stato liquidato il risarcimento, la durata della vita è nota: non costituisce più, quindi, un dato presunto sulla scorta della mortalità media della popolazione, bensì un elemento reale.
Ne deriva che il Giudice, nella aestimatio del pregiudizio, dovrà tenere conto non della esistenza media futura presumibile, bensì della concreta vita vissuta dalla vittima del sinistro a seguito dell’evento.
Del resto, nella stima del danno biologico/permanente il fattore tempo riveste importanza essenziale e consente di sapere per quanto tempo, esattamente, il danneggiato ha dovuto convivere con la menomazione.
Pertanto, qualora il danneggiato deceda prima di essere risarcito (per causa indipendente dal sinistro) il Giudice dovrà personalizzare il punto percentuale d’invalidità (che dovrà dunque essere indicato dal CTU) per adeguarlo da quello fissato in astratto in relazione alla probabilità di vita residua, a quello che in concreto deve essere corrisposto dal responsabile e dal suo assicuratore.
Quanto appena sostenuto emerge con estrema chiarezza dai principi di diritto esposti – da ultimo – nella sentenza n. 29191/2008 della Suprema Corte, che tratta il caso di un infortunato sopravvissuto per alcuni anni alle menomazioni subìte e poi deceduto per altre patologie.
La massima della succitata pronuncia afferma, in particolare, che “…anche la morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria incide sulla valutazione del danno biologico futuro, che resta tale nella sua integrità sino al tempo del decesso, come debito di valore; la riduzione non opera, però, sulla determinazione del danno biologico statico (consolidamento dei postumi al tempo della vita e riconoscimento della invalidità) ma solo sulla determinazione del danno biologico globale, considerato ai valori attuali al tempo della decisione […] in relazione alla estinzione del danno futuro a seguito dell’intervenuta morte…”.
In altre parole, secondo la Corte di Cassazione la morte della vittima per cause indipendenti dalla lesione originaria, non determina il venir meno del diritto al risarcimento dell’invalidità permanente (che dovrà quindi essere indicata) ma incide soltanto sulla sua quantificazione globale, che dovrà evidentemente tener conto dell’estinzione del danno futuro a decorrere dal momento dell’intervenuto decesso.
Ciò è confermato anche da pronunce ancor più recenti, quali la sentenza di legittimità n. 2297/2011, nella quale la Suprema Corte ribadisce che “…in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da fatto illecito, qualora, al momento della liquidazione del danno biologico, la persona offesa sia deceduta per una causa non ricollegabile alla menomazione risentita in conseguenza dell’illecito, alla valutazione probabilistica connessa con l’ipotetica durata della vita del soggetto danneggiato va sostituita quella del concreto pregiudizio effettivamente prodottosi, cosicché l’ammontare del danno biologico che gli eredi del defunto richiedono “iure successionis” va calcolato non con riferimento alla durata probabile della vita del defunto, ma alla sua durata effettiva, pur tenendo conto del fatto che nei primi tempi il patema d’animo è più intenso rispetto ai periodi successivi…”
E’ incontestabile, pertanto, che nel caso di decesso per cause diverse dal sinistro prima della liquidazione, il danno biologico non patrimoniale vada correlato alla durata di vita effettiva, essendo detto danno costituito dalle ripercussioni negative della permanente lesione della integrità psicofisica del soggetto per l’intera durata della sua vita residua (cfr. Cass. Civ., sent. n. 22338/2007 e n. 23053/2009, Trib. di Pordenone, sent. n. 3256/2014, ).
Sul tema, peraltro, si è recentemente espresso anche il Tribunale di Roma secondo il quale corrisponde “…ad una massima di esperienza il fatto che nei primi tempi di stabilizzazione della invalidità il patema è più intenso; pertanto, qualunque sia stata la durata della effettiva sopravvivenza all’evento lesivo produttivo del danno, una percentuale del risarcimento deve essere comunque riconosciuta; tale percentuale naturalmente, sulla base di una valutazione equitativa, non può che essere proporzionale alla gravità della invalidità permanente accertata…” (cfr. Trib. di Roma, sent. del 3.9.2013).
I criteri per la concreta determinazione di tale percentuale, sono peraltro indicati proprio nelle tabelle elaborate (e comunemente applicate) dal Tribunale di Roma, dalle quali emerge che il danno biologico da invalidità permanente va distinto in due parti:
(I) ciò che viene percepito immediatamente dalla vittima e che va a costituire l’adattamento alla modificazione psicofisica intervenuta (poiché il patema d’animo è più intenso nelle immediatezze dell’evento);
(II) e ciò che è correlato con i progressivi pregiudizi – fisici e psichici – che il soggetto incontra nel tempo e che hanno un’intensità inferiore rispetto a ciò che il danneggiato percepisce nelle immediatezze del sinistro.
Di seguito verrà illustrato un esempio delle concrete modalità di calcolo applicabili in vicende corrispondenti a quella di cui si discute:
si consideri una donna che al momento dell’evento lesivo ha l’età di 73 anni e che deceda 2 anni dopo per cause indipendenti dal sinistro stradale.
In tale ipotesi, secondo le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, la donna dovrebbe un’aspettativa di vita media quantificabile in anni 89.
Supponendo che un’invalidità permanente pari al 20%, il conteggio si svilupperebbe come segue:
Eta’ del danneggiato: anni 73
Sopravvivenza dopo evento lesivo: anni 2
Vita media statistica del soggetto settantatreenne: anni 89
Invalidita’ permanente 20%: € 55.614,00
► CALCOLO PRIMA QUOTA (relativa al danno acquisito immediatamente):
Trattandosi di I.P. pari 20%, il danno acquisito nell’immediato può essere stimato in un range che va dal 10% al 20% dell’i.p. derivante da tabella:
Pertanto se il totale dell’invalidità permanente corrisponde ad € 55.614,00, il danno acquisito nell’immediato potrà stimarsi in un range che va da:
€ 5.561,40 (10% di 55.614,00) ad € 11.122,80 (20% di 55.614,00);
► CALCOLO SECONDO QUOTA (relativa al pregiudizio progressivo che il danneggiato percepirà nel futuro della propria esistenza):
Danno biologico residuo detratto il danno già acquisito:
€ 55.614,00 detratto l’importo rientrante nel range che va da € 5.561,40 ad € 11.122,80 = € 50.052,60 (ovvero € 44.491,20 in caso di applicazione del range massimo).
La somma ottenuta (€ 50.052,60 ovvero € 44.491,20) corrisponderà all’ammontare totale della seconda quota del danno, elaborata sulla base di una vita media di anni 89, ed andrà quindi proporzionata alla durata effettiva della sopravvivenza della danneggiata che è di anni 2 (75-73=2) a seguito dell’evento, anziché di anni 16 (89-73=16) a seguito dell’evento.
Ne deriverà quindi il seguente conteggio:
€ 50.052,60 (ovvero € 44.491,20) / 16 = 3.128,29 x 2 (ovvero 2.780,70 x 2) = 6.256,58 (ovvero 5.561,40).
La quota spettante alla danneggiata per i due anni di sopravvivenza a seguito dell’evento lesivo potrà quindi essere collocata in un range che va da € 6.256,58 ad € 5.561,40.
► AMMONTARE COMPLESSIVO:
L’ammontare complessivo del risarcimento da riconoscersi a titolo di invalidità permanente sarà quindi pari alla somma tra la prima quota di danno (danno percepito nell’immediato – che va da un range di € 5.561,40 sino ad € 11.122,80) e la seconda quota di danno (che considera la morte prematura della donna rispetto alle stime nazionali di vita media del soggetto), quantificata in un range che va da € 6.256,58 ad € 5.561,40, per un totale stimabile in una fascia che va da € 11.817,98 (€ 5.561,40 + € 6.256,58, con percentuale del 10%) ad € 16.684,20 (€ 11.122,80 + € 5.561,40 con percentuale del 20%).
A tale importo andrà poi sommato (per intero) il totale derivante dall’inabilità temporanea accertata.
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